Il blog di Mirella Marabese Pinketts

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Mi presento, mi chiamo Mirella Marabese Pinketts e sono la Presidente dell’Associazione culturale Andrea G. Pinketts.

Benvenuti a tutti voi che darete lievito alle mie parole dove è dominante l’emozione.

Sì, sono la madre di Andrea Pinketts. Al suono di questo nome vedo la maggior parte di voi trasalire. Un nome conosciuto e diffuso. La genialità non è ascoltare, interessati, incuriositi, all’eco di questo messaggio perchè è tale e non è un comunicato.



AGNOIR Festival 2022 - Andora 5/9 luglio

Onore ad Andora, dove ogni pietra è rovente per il sole, padrone che attira l'alito del mare, profumato di bellezze naturali ma anche culturali. La cultura aleggia ad Andora come il vento del ricordo.

Onore a Christine, la regina, che ha portato questo festival all'ottava edizione con l'intervento di personaggi illustri di grande spessore che sanno dare al nome follia la collocazione professionale, umana e veritiera.

Andrea partiva per Andora con l'entusiasmo di un ragazzo, ma era un ragazzo, e sarebbe rimasto tale se un vento crudele non avesse intristito i suoi petali (Spoon River di Edgar Lee Master).

Nel 2018 partecipò all'edizione della rassegna letteraria AG NOIR con l'entusiasmo di sempre. Era stremato dalla malattia ma voleva dare al festival un addio dignitoso. So che Andora lo rievoca, in questa sua veste di apprezzamento del suo coraggio, con rimpianto e ammirazione.

Il tema di questa ottava edizione è la follia, un orologio svizzero perfetto che scandisce il tempo con la massima precisione e assolve il suo compito. Accade, purtroppo può accadere, un corto circuito mentale che altera il sincronismo e l'equilibrio dell'orologio e ne sorgono conseguenze drammatiche, ferali, in grado di provocare delitti e troncare delle vite in fiore.

Il caso, più recente, della giovane madre che ha ucciso la propria bambina; l'efferato delitto consumatosi a Bolzano per mano di un figlio, complice il fiume Adige che ha accolto le spoglie dei suoi genitori. Questa è la follia. Sgomento, pena, angoscia, stupore e, forse, in futuro il perdono come nel caso di quel meraviglioso padre che ha seguito il delitto che la figlia aveva compiuto troncando la vita della propria madre e del fratellino, lasciandolo solo.  E' stato capace il grande uomo di perdonare e di assistere la figlia malgrado il parricidio da lei commesso. Ha sublimato il suo dolore seguendo la figlia nel lungo periodo di riabilitazione donandole soprattutto amore e speranza nel futuro.

Ringrazio Christine e tutta l'équipe dell'AG NOIR per l'invito esteso al prestigioso scrittore Giacomo Papi e a Cecilia Scerbanenco che nel libro Il fabbricante di storie. Vita di Giorgio Scerbanenco, del padre ne rievoca la grandezza, la passione, la fantasia.

Giacomo Papi ha raccolto nel suo libro Italica -  Il Novecento in trenta racconti(e tre profezie), i migliori trenta racconti del Novecento, facendoci un dono inestimabile. Fra loro vi ho ritrovato, compiacendomi con stupore rinnovato e ammirato, la gioiosità di tanto talento del racconto La signorina e l'accalappianani di mio figlio Andrea G. Pinketts.

E' il caso di dirlo: a parlare di Andrea, del suo valore letterario e umano, Cecilia e Giacomo ne rievocano le gesta.

Un sorriso, più sorrisi nella lettura. Non è facile sorridere per mamma Pinketts, grazie Andrea.

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https://festivalagnoirandora.it/edizione-2022/

La panchina solitaria

Può una panchina essere gioiosa, felice, accogliente come un nido di morbide piume che ride sotto il sole? Può e, in alternanza, il rovescio della medaglia il cui oro si è sbiadito, non brilla più. Il tempo che passa è stato inclemente ma il tempo è sempre inclemente.

Da un po' di tempo riaffiora in me il ricordo di quella panchina, della sua, della mia solitudine. Ero una giovane ragazza e avevo accanto il calore, gli abbracci e le carezze di un gigante biondo. Un atleta. Era appena tornato da Helsinki in Finlandia per i giochi olimpici del '52.

Il suo profumo di giovinezza, di erotismo controllato (come si usava a quei tempi) mi stordiva, immersa com'ero in quell'atmosfera che ti brucia sulla pelle e non solo sulla pelle.

Il tempo felice passò, l'ardore si spense, la panchina conservò a lungo il calore di quell'amore finito, se mai era stato amore. La panchina rimase vuota, ferita.

Da qualche tempo m'intenerisce il cuore, il ricordo della fine di quel tempo felice e di quella panchina, dove vissi i primi palpiti della pelle, del cuore, della mente, della fantasia.

Passarono dieci anni. La vita, con le vicende sempre alterne, cancellò quel sentimento lasciando spazio ad altri amori fugaci o duraturi, non so. Non si può misurare l'amore con una clessidra distratta, né l'intensità di una storia, né la durata.

Ma avvenne che nel mese di agosto io tornassi in quella città assolata, quasi implacabile nel suo sole estivo. Tornai e mi sovvenne qualcosa. Salutai le fronde degli alberi annosi che proteggevano da sguardi indiscreti il piacere di quel sentimento che avvinghiava me e il mio atleta biondo di cui naturalmente, come sempre accade, avevo perso ogni traccia. Era ferragosto e la città, assonnata di suo, era silenziosa, come indifferente a quanto accadeva nelle spiagge, sui monti, tutti presi dal desiderio di voler dare una veste ludica a quella giornata. Io, attraverso il parco, salutai gli alberi che avevano proseguito senza di me e ritrovai la mia, la nostra panchina. Mi prese allora una profonda malinconia per tutto quello che il tempo mi aveva rubato. La solitudine che quasi sempre è una ricchezza, m'invase e mi lasciai trasportare dai ricordi, accarezzai la panchina e mi parve di sentire le assi quasi cigolare. Erano stati i temporali, la pioggia, il freddo, che l'avevano dissestata.

Tornai allora alla mia realtà, ai rumori accoglienti della città, alla metropolitana che ti abbracciava rudemente e fragorosamente con una carezza, un abbraccio cosmico. Ma era una premonizione questo mio sentimento che ancora custodivo. Erano passati dieci anni, ero diventata mamma e tornai nel parco verde da dove sulla famosa panchina tu giocavi. Ero radiosa di quell'amore nuovo che cancellava tutti gli altri. Era agosto e non tornai più in quella città. Intorno a me si era fatto il vuoto.

Il tempo ha stravolto il passato lasciando solo una scia talvolta luminosa come un fuoco d'artificio fugace e illusorio la cui intensità si è attenuata fino a scomparire. Ora mi avvolge il silenzio e l'assenza.

La panchina dei miei sogni di fanciulla innamorata sarà ormai divelta così come lo è stata la nostra vita da quando tu, Andrea, mio figlio bambino, sei andato via.

Mi piace pensare che alle spalle di ognuno di noi ci sia una panchina solitaria.

Mystfest - Cattolica 13/19 giugno 2022

L'aria a Cattolica è satura di parole, di pause. In letteratura come in teatro, le pause sono indispensabili. Come i sospiri, come le attese. Un invito ad ascoltare, a partecipare a quelle emozioni che a Cattolica durante il festival attendono come un tripudio di letteratura, di cultura, di conoscenza.

A seconda dello scrittore che presenta un suo libro le voci si fanno assordanti, assetate di esprimersi. Ma in mezzo a questo esprimere le proprie emozioni, a dare corpo a fantasie, io odo la tua voce Andrea. Chiara, forte anche se l'emozione dà qualche vibrazione. Cattolica ti appartiene, figlio fanciullo. L'hai amata tanto, ti ha dato tanto per parecchi anni e il ricordo vibra ancora adesso anche se il tempo è nemico dei ricordi. Il tempo tende ad attenuare la dolcezza, il rimpianto, la nostalgia. A sfumare l'intensità, il vigore della parola.

Ma rimane la marea dei tuoi amici che come tu hai scritto:

Gli amici sono coperte.

Coperte termiche d'inverno e fresche lenzuola d'estate.

Senza amici sei nudo. E chi ti vuole bene comincia a coprirti. Ti copre tutta la vita.

Gli amici sono il tuo senso della frase.

Nell'anno che corre 2022 la tua generosità di uomo e di scrittore eccelso ha portato al festival di Cattolica un nome prestigioso: l'Ambrogino d'oro. Un'onorificenza del Comune di Milano a personaggi illustri che hanno onorato la città. L'Ex Sceriffo di Cattolica oggi Ambrogino d'oro, un salto di qualità e di prestigio.

Andrea, figlio bambino, ha oggi l'onore di essere presente al suo mentore ideale, Giorgio Scerbanenco al quale è dedicata questa serata con la presenza dell'amata figlia Cecilia che rievoca le tappe della faticosa carriera del padre, culminata da tanti successi letterari, da libri che il tempo impreziosisce di valore e ricchezza spirituale. Io, tua madre, e Cecilia ti abbracciamo nel ricordo dei nostri amati perduti, astri luminosi nel cielo della letteratura. E questa sera, luci fulgenti nel cielo a Cattolica.

Cecilia, tuo padre contribuì ad alimentare, in Andrea, il grande amore per la letteratura e per i pensieri.

Giorgio, tua figlia Cecilia riceverà dalle mani anche se incorporee di Andrea, il IV Premio Andrea G. Pinketts in collaborazione con l'Associazione Andrea G. Pinketts. Mai carezza fu più lieve.

Cecilia, ho avuto anche l'onore in passato di conoscere la tua mamma che come tuo padre che stasera tu rappresenti, è spiritualmente legata ad Andrea di cui conosceva il valore. Mi piace pensare che vedeva il suo futuro brillante come scrittore, uomo, amico. Ricordo il suo abbraccio a Le Trottoir.

Questo festival che si rinnova e continua negli anni è l'immagine della perfetta organizzazione di Simonetta e della Giunta Comunale.

La partecipazione umana e commossa della gente, mai dimentica, della generosa Romagna. Cuore, sentimento, ricordo, presenza fisica e spirituale. Anch'io ci sono con la memoria e la conoscenza.

Memoria, buona vita, futuro.

 Mirella Marabese Pinketts

Ambrogino d'oro 2021 - 7 dicembre - Milano Teatro dal Verme

Ambrogino d'oro 2021

7 dicembre - Milano Teatro dal Verme

Medaglia d’oro alla memoria del Comune di Milano per Andrea G. Pinketts.

Quante ridenti primavere, quante torridi estati, quanti autunni indecisi e inermi ci hanno visto, uno accanto all'altro, gioendo insieme nella ricerca di qualcosa di più che appagasse la nostra sete di sapere, di lasciarci avvolgere dalla magia della cultura, dal fruscio di quelle pagine che arricchivano la nostra mente. La curiosità di andare avanti sempre più per meglio capire, per meglio sapere, per sapere di più. Un miracolo che completava la nostra unione.

Tu ci sei arrivato, figlio mio e la risposta è nella tua mano, animata da quanto letto, studiato, ragionato, imparato. Mano ora aperta a ricevere  un piccolo disco d'oro: ha nome Ambrogino d'oro. E' il premio che arricchisce lo splendore della nostra città che insieme alla Madonnina irradia di pulviscoli d'oro la volta del cielo e la terra.

Tu sei nel palco e io ti vedo con gli occhi dell'amore che superano le distanze, il tempo. Il tempo non esiste.

La moneta d'oro,  la cui realizzazione risale alla Milano del 1930, è il riconoscimento con cui il comune di Milano, oggi, premia chi ha onorato, scrivendo nei suoi personaggi più significativi il cammino della cultura nella nostra città. L'alone di gloria continuerà nel tempo. Per i milanesi è un tributo che viene conferito alle persone che l'hanno onorata donando magia a Milano dove di notte c'è il mare. Lo afferma Andrea, è un vincitore dell'Ambrogino d'oro, c'è da credergli.

Io ti vedo, so che anche tu mi vedi, i tuoi occhi scintillano di luce, il luccichio dell'Ambrogino si fonde nell'apoteosi del tuo sguardo. Milano ti ringrazia dei lavori che le hai donato, la gente di plaude e ti onora.

La mano ravviva la sua luce, l'Ambrogino la sua magia. L'aria di Milano è soffusa di splendore. Questo alito ti è dato anche all'amore che io ti ho dato, figlio mio.


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Il sindaco Beppe Sala consegna il premio all’Associazione Culturale Andrea G. Pinketts fondata da Mirella Marabese (madre di Pinketts) e rappresentata alla cerimonia da Andrea Carlo Cappi, Elisabetta Friggi e Rossella Marino.

Scriverò la biografia di Andrea ispirandomi ai suoi ricordi di mamma, compagna di viaggio, alleata, musa.

Cara Mirella, la ringrazio per il tempo e per l’attenzione che vorrà dedicarmi alla realizzazione del primo capitolo del mio elaborato. Scriverò la biografia di Andrea ispirandomi ai suoi ricordi di mamma, compagna di viaggio, alleata, musa. Vorrei, attraverso le sue parole, dipingere il suo ritratto e dargli voce, oggi. Sarà la mia interpretazione, che spero possa prendere una giusta forma nella tesi che sto scrivendo. Se potesse allegare delle fotografie, aggiungerei valore e documentazione allo scritto. La abbraccio forte.

Alessandra Adamo 

(Milano, 20 ottobre 2021)

***

Cara Alessandra, mi scuso del ritardo, ma ho accarezzato fin dal principio il tuo progetto che mi ha dato ancora una volta un fremito di gioia perché, pur con l’inesorabilità del tempo che attenua le emozioni, ricorda e vuole dare voce ad Andrea. La clessidra del tempo è inesorabile ma talvolta alterna i suoi movimenti, sia a nostro favore che a nostro sfavore. Sono tre anni che il mio cuore è greve, il vuoto è inesauribile, l’assenza è urlata. Ma oggi io ti devo ringraziare, gentile Alessandra, con la tua intervista sulla vita di Andrea, hai fatto salire nella mia memoria gli avvenimenti, il percorso della nostra vita insieme. Ho ricordato non le asprezze e la sua malattia ma la dolcezza del bimbo che sentii palpitare nel mio ventre, leggero come i petali di un fiore mossi dal vento. Ho ricordato sorridendo e mi ha consolata. Io non so esprimere coerentemente le mie emozioni e forse le mie risposte alle tue domande non hanno seguito un filo logico ma l’emozione mi ha sopraffatta, ha portato via la ribellione al suo distacco, la rabbia, l’ingiustizia. Quando scrivo di mio figlio, la mia mente si allarga a dismisura come un oceano incontenibile; la mia penna vola come i miei ricordi, senza confini, sommersi dalle onde del passato dove il presente, il futuro è nei vostri progetti di vita, dove mio figlio possa rivivere la vita che lo aspetta, che ci onora perché quanto ha dato non sia ma disperso ma sia nutrito attraverso ammirazione, nostalgia, anche stupore nel ricordo di quanto ha dato alla nostra letteratura.

I ricordi e le emozioni di mamma Mirella per la Tesi di Alessandra

La bambola è il primo incontro con l’istinto materno di una bimba. Anche questo però è opinabile, ci sono bimbe nelle quali questo istinto è sopito, sostituito oggi da oggetti tecnologici e telefonini. La bambola e l’orsacchiotto spelacchiato sono i primi oggetti che una bimba si stringe al cuore, scatenando un sentimento la cui sublimità è struggente, inenarrabile, protettiva.

Io ebbi, nella mia lontana infanzia, il dono di due nonne, una paterna, l’altra materna. La prima, madre di mio padre, nobildonna tedesca di alto lignaggio, mi donò una bambola senza l’ombra di un sorriso perché era una donna austera; mi faceva solo soggezione e timore di turbare con le mie manifestazioni di affetto, la sua bellezza regale. La bambola aveva gli occhi ovviamente cerulei però agghiaccianti senza alcuna espressione e i capelli, ovviamente biondi, intrecciati su un abito di pizzo leggero, di una veste di velluto tenero di trina leggera. Forse l’epoca è così lontana. Era una bambina Lenci che, credo, ai quei tempi era l’emblema della bambola di lusso. Ne avevo timore.

Mia nonna era una nonna meravigliosa, però non amava le carezze. Io la ammiravo come una statua perfetta. La bambola la portai in Italia e la misi su un cassettone, dove lì rimase per anni raccogliendo polvere. Mai le concessi il tepore del mio letto. Nei momenti di silenzio interiore mi pentivo e mi avvicinavo a lei tentando di rimuovere quel distacco fisico ma non ci riuscivo. Mai ebbi il desiderio di stringerla fra le braccia, di abbattere la sua incomunicabilità. La famiglia riflette su questo. La famiglia è un’oasi di silenzio e non dà corpo ai pensieri ancora intonsi dei figli.

Mia nonna materna era una donna semplice, abitava in campagna, era di famiglia modesta, aveva avuto un colpo di fortuna sposando mio nonno, guardia forestale che conosceva il Latino come lingua universale. La nonna, si chiamava Rosa, era piccola, rotondetta con un caschetto di capelli neri la cui lucentezza le impreziosiva il viso. Lei mi compose con le sue mani una bambola di stracci i cui abiti erano composti di stoffa tolta dai suoi grembiuli di cucina a quadretti bianchi e rossi. Gli occhi della bambola erano sfuggenti perché non esistevano, ma il suo sguardo vegliava e seguiva ogni mio passo. Immediatamente nacque in me il desiderio di cullarla fra le braccia e darle amore, protezione, sicurezza. Divise con me nei molti anni che seguirono insieme a un orsacchiotto spelacchiato il mio letto, i miei sogni, le mie delusioni, le mie speranze. Mi consolava e rassicurava.

Il mio istinto materno nacque da quel rapporto, una bambola di stracci e un orsacchiotto spelacchiato che avevano bisogno di me. Quando ebbi la certezza che il mio ventre avrebbe dato vita a un bambino, che lo avrei nutrito, che gli avrei dato il meglio di me stessa, che avrei alimentato il desiderio di sapere, di conoscersi, di donare agli altri quello che non avevano, che lo avrei cullato chiunque egli fosse diventato. Così io ho immaginato mio figlio mentre il ventre palpitava di creativo amore. L’attesa fu armoniosa e presaga che i miei desideri si sarebbero avverati, che le bambole della mia infanzia si sarebbero abbracciate l’un l’altra creando un’anima dove la forza, il potere, la fierezza, si sarebbero uniti in un insieme dolce, sensibile, armonioso, tenero, bisognoso di amore. 

I ricordi sono di ieri, di oggi. Sono vivi, come il palpito del mio cuore oppresso dal silenzio di un passato di quei giorni gioiosi, nebulosi, con le nuvole presaghe di grandi temporali, grandi cataclismi. E’ naturale e umana la gioia e la quasi ansia con i momenti di preoccupazione di una madre. Il mestiere delle mamme è la preoccupazione, è indubbiamente vero, Andrea lo diceva sempre.

Gli anni passarono. Una notte Andrea non era rientrato, suonarono alla porta, era la polizia. E’ raro che un poliziotto ti riporti a casa tuo figlio, si era addormentato al cinema, evidentemente il film non lo interessava e Morfeo se n’era impossessato, era stato complice. I poliziotti furono comprensivi e mi consegnarono Andrea che con l’aria afflitta e consapevole dell’ansia che mi aveva procurato, si scusò. Naturalmente lo perdonai e non lo sgridai. Io non ho mai sgridato Andrea. Ho sempre cercato, anche con fatica, di lasciarlo libero nei suoi sbagli e nei suoi successi e ne sono fiera.

Un ricordo che mi riporta il sorriso. Aveva tre anni e mi disse “Le mamme si adorano, mamma io ti adoro.”. Mi portava spesso dei fiori e una mia amica mi diceva “Andrea deve aver fatto qualche marachella, per farsi perdonare dalla sua mamma le porta sempre un mazzo di fiori.”

Alla festa della mamma mi mandava una pianta di gardenie. Io l’aspettavo. Oggi, non potendo per ragioni fisiche andare a salutarlo dove riposa (ma quando mai Andrea può riposare?) mi dono una pianta di gardenie. La porto sul mio balcone e ogni giorno vi immergo il viso, il profumo mi avvolge come una carezza.

Una mattina Andrea mi chiamò in ufficio dicendomi di avere una ferita alla pancia e che doveva assolutamente medicarla. Naturalmente volai letteralmente a casa a bordo della mia Bianchina, feci i miracoli, provvidi a medicarlo ma era una ferita superficiale Gli uomini, come sempre, esagerano. Chiesi spiegazioni e Andrea mi disse “Dopo ti spiego”. Non mi spiegò mai nulla lasciando alla mia fantasia già fervida immaginazione delle deduzioni che sono ancora rimaste inevase.

Ricordo che nella sua prima infanzia e anche nella sua maturità nel giorno della Befana desiderava avere la calza che conteneva, allora si usava, carbone o dolci, a seconda di come uno si era comportato. Io sorridevo e dicevo “Ma Andrea non sei più un bambino” ma nel cuore era un bambino. La stessa cosa si ripeteva per l’uovo di Pasqua dal quale si attendeva la sorpresa. Questo era mio figlio, un uomo, un fanciullo.

Gli piaceva mangiare ma solo a casa. Rifiutava inviti ma purtroppo per me, invitava troppo frequentemente le sue partner del momento che apprezzavano con evidente soddisfazione di Andrea, la mia cucina. Io ne dedussi, dal mutismo ermetico delle fanciulle, che non avevamo simpatia reciproca. Domande e risposte. Lui leggeva il giornale, ascoltava la televisione e io facevo le domande e le risposte. Io tentavo di conversare con le mie ospiti e domande e risposte cadevano nel silenzio nonostante i miei tentativi. Forse erano vuoti generazionali.

Andrea amava anche provocarmi per suscitare in me qualche reazione che non mi era congeniale. Appresi così che il papa di allora che era Paolo VI, era l’amante dell’attore Paolo Carlini. I difesi a spada tratta il padre della Chiesa. Recentemente ho letto questa notizia su internet e sono rimasta basita.

Ad Andrea piaceva stimolare il mio interesse, la mia curiosità, per il suo mondo che non era decisamente il mio. Io vivevo e vivo in un mondo dove le brutture della vita arrivano attutite e dominate dalla mia incredulità e, forse, ingenuità.

Andrea mi voleva proteggere. Mi disse che un celebre autore di canzoni bellissime con il quale ci incontravamo sempre a teatro, duettando poi nel dopo teatro, che era malato di tumore, raccomandandomi di non parlarne. Lo interrogai a vuoto, qualche mese dopo, Paolo Limiti ci lasciava. Andrea aveva voluto risparmiarmi quell’attesa inesorabile. Mi voleva proteggere. Così accadde per Fabrizio Frizzi, il gentiluomo che aveva animato le nostre serate con la sua spontaneità, con la sua signorilità, con la generosità dei suoi valori.

Andrea saliva sulle montagne russe ed io attendevo su un praticello di tenera erba verde. Poi, lui tornava accanto a me, un po’ ammaccato, era il suo mondo notturno dal quale traeva alimento per le persone dei suoi libri, dei suoi racconti, delle sue affabulazioni che rivelavano il suo mondo surreale, ironico, istrionico, romantico, ribelle, sensibile fino allo spasimo.

Durante la giornata mi telefonava almeno cinque volte. I suoi amici erano stupiti da quest’abitudine giornaliera, lo prendevano in giro ma le loro madri erano però meno fortunate di me. Tornando indietro nel tempo, nel suo iter scolastico fu alquanto movimentato, non sopportava la disciplina, era intollerante alle regole. Fui chiamata più volte in presidenza per le lamentele del caso che si concludevano però in un garbato baciamano e le scuse per avermi disturbato.

Parigi val bene una messa. Con alcuni insegnanti c’era un rapporto più che alla pari. Lui sapeva quello che loro volevano spiegare agli alunni, era onnivoro, i libri, la letteratura di qualsiasi paese, le poesie, la storia, la geografia, la cultura dei paesi stranieri, erano il suo pane quotidiano, era in grado lui di insegnare agli insegnanti e questo attirava ovviamente qualche volta il loro malanimo.

Le sue risposte lapidarie non concedevano repliche, forse esposte con un po’ di arroganza, che gli erano comunque sempre perdonate, perché inconfutabili.

La matematica era obsoleta, le materie scientifiche pure. Fui chiamata dall’insegnante di applicazioni tecniche, investito da un’autorità che gli attribuiva il suo titolo che mi disse (qui mancò il baciamano) “Suo figlio Andrea è un deficiente”. Io dimenticai il bon ton e gli risposi che lo sapevo già e che lo ero anch’io e che lo invitavo a consultare gli insegnanti delle altre materie per avere un’opinione dell’intelligenza e della capacità di apprendere di mio figlio.

Mi sovviene, malinconicamente, un episodio che mi raccontò la signora Mura, l’insegnante di Italiano, legata a lui da grande ammirazione e complicità culturale. Ci incontrammo un pomeriggio di festa al mercato, la signora Mura gli chiese “Cosa vuoi comprare Andrea?” lui rispose “Una cravatta per il mio papà, la più bella perché è il più grande.” Suo padre era mancato da qualche anno. Il pudore era un’altra componente dell’anima fragile di mio figlio. Io e la signora Mura ci scambiammo uno sguardo commosso da mamma a mamma.

Ha lasciato una traccia nel suo percorso scolastico, un po’ accidentato e altalenante, così come nella vita che visse come i personaggi indimenticati e indimenticabili dei suoi libri, dei suoi racconti.

Quanti ricordi, lei mi chiede uno di questi. Dolcissimo, Andrea perse il suo mentore, Eugenio, che aveva sostituito il padre, probabilmente per ammirazione per quel fanciullo eccezionale la cui intelligenza e sensibilità lo affascinavano.

Credo che lui che per ben ventitré anni gli fu accanto, vigile ma discreto, ammirasse anche il mio coraggio di madre sola, forte come una guerriera, debole come il petalo di un fiore. Anche Eugenio fu chiamato sull’altra sponda, era il 5 gennaio 1991. Andrea in serata rientrò tardi, gli chiesi dove fosse stato, mi disse che aveva portato una candela in chiesa per il suo amico Eugenio. Per ricordare l’amico vicepadre mancato.

Aveva una particolare attenzione per i disabili con delle diversità. I suoi occhi s’intristivano, erano smarriti, quando incontrava uno di questi. Fu grande amico di un ragazzo in carrozzella gravemente spastico che frequentava il circolo culturale artistico Le Trottoir. Io alla cerimonia in chiesa per l’addio ad Andrea, lo incontrai e gli baciai le mani. Lui aveva perso un amico, io il figlio. Mi piacerebbe rivedere quel ragazzo, ne ho perse purtroppo le tracce. Non ho mai sentito Andrea parlare male di qualcuno, cercava sempre le attenuanti, cosa difficile nel mondo giornalistico.  Presentava i libri di autori sconosciuti meno fortunati di lui. Tutto gratuitamente perché diceva che dovevano essere incoraggiati. Tutto il mondo milanese gli ha tributato l’omaggio che lui meritava, questo era mio figlio. Le mie braccia sono vuote. La bambola di pezza che mi ha commosso il cuore e donato il primo istinto di maternità ormai è sfatta ma io sono mamma.

Andrea ha avuto una vita quale lui desiderava, le montagne russe e il praticello verde dove lo avevo cullato dalle sue intemperanze, gli dava consolazione.

All’età di quattro anni mi disse “Il mondo è un lupo, io sono l’agnello”.

Non mi sento di esprimere un parere sull’immenso patrimonio culturale di mio figlio. I suoi libri erano soprattutto tutti miei figli. La sua missione terrena ed evangelica è stata quella di avere amato la lingua italiana, di averla diffusa, di averla trasfusa come un nettare.

Quale giornalista d’inchiesta è stato come sempre osservatore lucido e consapevole e umanamente curioso di un mondo diverso dove si alternavano realtà concrete e la ricerca umana e psicologica dei perché.

Andrea amava Milano. Era un milanese DOC. Ha descritto i vicoli, le osterie, i giardini timidi e non coltivati, le stradine fumose e accidentate con il pavimento di pavé, i palazzi ricchi di un passato ormai ridotto, quando va bene, a salone di bellezza, di rappresentanza, sfilate di moda e negozi di cineserie.

Andrea ha annusato l’odore di Milano, quello vero. Traspare da tutti i suoi libri, dal patrimonio artistico che ha lasciato. Vorrei che tutti ne fossimo degni.

Mi si chiede dove è Andrea. E’ qui, accanto a noi, ha lasciato il meglio di un uomo fanciullo, non gli diremo mai addio.

Una sera, Andrea poteva avere vent’anni, iniziava la sua fama, più di personaggio televisivo che di scrittore, fummo invitati a una serata di gala all’hotel Gallia, era obbligatorio l’abito lungo. Io avevo un abito color turchese, accollatissimo con le maniche lunghe, nessun gioiello, solo un gioiello, un bellissimo turbante color turchese. Questo turbante illuminava l’eccelsa sobrietà della mia mise. Attirò l’attenzione di tutte le persone e con mio grande imbarazzo vennero a chiedermi l’autografo. Io rimasi naturalmente intimidita da questo e temevo che Andrea se ne sentisse diminuito. Temevo il dispiacere di Andrea ma era compiaciuto e mi ricordò una frase del passato che mi aveva detto mio marito “Tu sei regina” Andrea con la sua consueta ironia e bon ton fu fiero del mio successo estetico e ne ridemmo insieme. Indubbiamente il mio amore per un abbigliamento personale e originale, ma sempre di buon gusto, influenzò le sue mise e la sua ricerca estetica e assolutamente diversa da quella degli altri. Non avrebbe mai potuto essere scambiato per un direttore di banca. I suoi cappelli erano sempre perfettamente intonati ai colori e allo stile del suo abbigliamento, come me d’altronde. Ho passato i pomeriggi della mia vita facendo la stiratrice, dieci e lode.

Ricordammo insieme le serate col grande amico di Andrea, Philippe Daverio. Noi gareggiavamo sull’abbigliamento vivace e carico di colori. Ci prendevamo vicendevolmente in giro, ridendo insieme delle nostre stramberie estetiche che erano lo specchio della nostra personalità. Andrea ammirava la nostra sfrontatezza e nel tempo assunse la sua immagine ammirata e invidiata.

Andrea aveva con il denaro un rapporto inesistente. Perdeva spesso il portafoglio, non si curava di quanto guadagnava né di quanto spendeva. So che era generoso con i colleghi meno fortunati e anche con chi poteva essere in difficoltà. Mi regalava gardenie, margherite, lillà, braccialetti e monili tutti d’ispirazione orientale. Belli, che rispecchiavano la sua e la mia personalità. Eravamo in simbiosi spirituale, intellettuale, etica, curiosa, imprevedibile come il nostro linguaggio comune.

Durante il periodo scolastico, ordinava libri non richiesti dalla scuola, a una cartoleria a cui a quel tempo eravamo diventati amici. Io passavo a pagare il conto ma non erano mai i libri di scuola, erano i libri che lo interessavano e lo incuriosivano. Il suo hobby era sapere, conoscere, scoprire. Io non protestavo, lo capivo. La scuola, le sue nozioni, lo annoiavano. Sapeva già tutto, non era che snobbasse gli insegnanti ma li trovava ripetitivi e inutilmente competitivi. Naturalmente alla presidenza, questo non era gradito, e allora il baciamano e l’imbarazzo si sprecavano con reciproci grandi sorrisi e attestazioni di stima e di rispetto.

Accadde alla vigilia di Natale, Andrea poteva avere tre anni. La chiesa di San Francesco di piazza Tricolore allestiva il presepio movibile. Il presepe è una tradizione che rappresenta il passato dove in ogni casa c’era una culla vuota che aspettava il miracolo della nascita. Oggi, non so. Andammo con mio marito e Andrea a visitare il presepe. I visi dei bimbi lasciano trasparire le loro emozioni, gioia, dolore, capricci, stizza (molto frequenti), non ancora le maschere che distinguono gli uomini adulti, salvo rare eccezioni. Il viso di Andrea espresse attenzione mista a incredulità, sgomento, curiosità. Osservava il bambino nudo e disse “Ma non ha freddo?”. Osservava la dolcezza del viso di Maria adorante. Giuseppe un po’ in disparte guardava intenerito la sacra famiglia. Il bue e l’asinello alitavano sul viso di Gesù il calore del loro fiato nella speranza che lo riscaldasse. I pastori e le pecorelle prendevano parte a quella gioia universale. Dopo il silenzio che conteneva la sua emozione Andrea disse “Un po’ è questione di tecnica ma molto è magia”. Il suo viso era pervaso dall’incantamento. Credo che fu da quell’attimo intensamente spirituale che in Andrea nacque l’amore per gli animali che lo seguì per tutta la vita. Oggi, a distanza di decenni, quando vedo un presepe, quell’incantamento lo sento come una carezza divina.

Andrea aveva una zia, zia Olghina, ricca proprietaria terriera. Gli lasciò un’eredità mirabolante, Andrea era già maggiorenne e quindi fu assolutamente padrone di quel tesoro. L’eccesso di denaro è sempre pericoloso e può deviare le abitudini mortali. Le montagne russe lo attirarono più di prima. Salirono ancora più in alto, le mie notti si fecero ancora più lunghe e insonni. Lo sferragliare dei vagoni s’inceppò, Andrea cadde al suolo e il praticello dove io da sempre lo attendevo, che era verde, rimase schiacciato e l’erba non poté più crescere.

La malattia lo colse inesorabile. Ancora una volta, la nobiltà della sua anima prevalse nei suoi ultimi giorni di vita. Volle tenere un reading per il suo ultimo Bookcity milanese, dove parlò dei suoi libri, della sua arte, del suo sapere, del suo conoscere. Pochi giorni dopo il Corriere della Sera riportava un’intera pagina col titolo “Morto Andrea Pinketts, un anarchico a Milano - Geniale e sregolato, raccontava la città con gli occhi del mistero”. Ci vuole classe per raccontare l’agonia come se fosse stato in un rock bar.

Così come sale alla memoria il ricordo della tua ultima sera. Ero solita, in passato, parlare con te, nei tempi felici, di libri, delle poesie che rimanevano scolpite nel mio cuore, ne godevi, con me. L’ultima sera, la mia mano stretta nella tua, sussurrammo insieme la poesia di Giovanni Pascoli “La mia sera”.

Don... Don... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.

...

La mia mano non ti ha mai lasciato, io non ti lascio andare. Ti partorisco tutti i giorni, ho lo spasimo nel ventre come il giorno della tua nascita.

Mirella Marabese Pinketts

 

 

 

 



24 dicembre, l’incanto dell’alito generoso di un bue e di un asinello

E’ una serata di dicembre, rumorosa. Mi ritrovo in una strada bardata a festa con le luminarie che creano immagini luminescenti e alterano la visione. Sono forse in un lunapark? Invero non era mia intenzione questo percorso, estraneo al mio modo di essere, di vivere, di essere parte umana e partecipe di questa umanità affannata, carica di pacchi, chi piccoli chi grossi, a seconda delle capienze dei borsellini e del desiderio di donare.

Ma cos’è donare? E’ così che si esprime un dono? L’inutilità di questo scambio reciproco non mi allieta. Le carte cangianti che dividono i pacchi blu, rossi, verdi, gialli, diventano a poco a poco grigie, si spengono. Il dono è qualcosa di intimo, fatto pensando alla persona alla quale è rivolta. Purtroppo è spesso riciclabile, rivolto ad un’altra persona, ad un altro habitat. Non c’è la magia, i pacchi sono inutili come spenti, il cuore tace.

Poche persone riescono a captare l’aria diversa che sopravvive, che preannuncia un avvenimento che invita a sorridere, a sentire sulle mani e sul viso ghiacciato, l’incanto dell’alito generoso di un bue e di un asinello. C’è un vocio assordante, risate sguaiate scaturite da borsellini che si sono stupidamente svuotati con aperitivi a catena. Si rinnovano continuamente gli auguri. Auguri, di che?

Il pensiero è un grande potere. Può essere proiettato nel futuro umano. Non è consigliabile perché carico di sorprese e si sa, le sorprese non sono sempre piacevoli. Sono come un’altalena bugiarda, salgono e scendono. E spesso perdono il ritmo. Il pensiero riflette, crea, distrugge, ritorna a creare il poi, il domani, riapre la bocca al sorriso. E’ forse questo il significato della parola amore?

Questo pensiero che nel mio caso è vagabondo, fa allora un salto all’indietro. Mi porta in una piccola città del Trentino, solitaria, così stretta fra le montagne, le voci ne sono sommesse, l’atmosfera è rarefatta. Si attende, riverenti, l’annunciazione che il momento è vicino. Gli zampognari suonano le loro melodie. C’è una piccola grotta in una culla disadorna ma regale nella sua essenzialità. Giace un bambino che sarà il Re dell’universo. Lo guarda amorevolmente la mamma, lo contempla, lo ammira, se ne imbeve. San Giuseppe, generoso, sorride alla sua Sacra Famiglia. I pastorelli e gli agnellini sembrano danzare la passeggiata dell’innocenza.

E’ uno spazio che non ha confini, il verbo arriverà e si allarga l’infinito e allora il natale povero e modesto della nostra infanzia, con i religiosi misteri religiosi mi riempie il cuore.

Dalle bancarelline emana il profumo delle caldarroste fumanti, delle bagigie (arachidi)in fazzoletti di cotone freschi e puri, le fibre artificiali allora non c’erano.

Mi infilo una collana di castagne bollente e mi sento una regina perché ho nel cuore questa attesa. Chi ci crede e non tutti ci credono, vorrebbe credere, da tanto conforto, da tanta speranza. Ognuno di noi cerca, qualche volta trova, qualche volta no. E lì rimane l’amarezza.

Il mio balcone che nel passato si uniformava alle usanze comuni, come tu volevi, figlio del re sole, io figlia della pallida luna. Due Sentimenti contrapposti, ma io mi adeguavo come sempre al tuo volere. Ma da tre anni questo balcone è spento e avvolto nel buio della notte. Tu, figlio, fanciullo, bambino, ti dissolvi nella luce divina.

 

La mia Milano notturna di metà anni Novanta aveva anche la sua faccia

Quando arrivai a Milano ne fui letteralmente folgorato, da subito. Amore a prima vista. Andavo in onda di notte, mi svegliavo alle due del pomeriggio. Vivevo di aperitivi, mangiavo agli orari più disparati, senza regole. Conoscevo un sacco di persone bizzarre e meravigliose , con cui spesso rimanevo a parlare fino alle sei del mattino, fumando mille sigarette. C’erano volte che entravo in un locale sordido vicino alla radio alle tre del mattino, appena finita la diretta, con l’adrenalina a mille. Sembrava un posto schizzato fuori da un romanzo di Bukowski. Ordinavo da mangiare, come fossero le otto di sera. Insomma, ero molto giovane e travolto dagli eventi, tutto mi sembrava così nuovo e strano e incredibilmente stimolante. In questo sottobosco scalcagnato e un po’ maledetto mi capitava di imbattermi in un personaggio che era impossibile non notare. Indossava spesso un cappello, fumava il sigaro e aveva sempre tra le mani un bicchiere. Una sera stava litigando con la sua donna, che era una mia amica. Io ebbi la sfortuna di trovarmi proprio in mezzo, e così mi beccai un pugno sulla spalla. Mi dissero che quel tipo era uno scrittore piuttosto bravo, cercai i suoi libri e cazzo se lo era. La mia Milano notturna di metà anni Novanta aveva anche la sua faccia, e sapere che adesso non c’è più mi fa un certo effetto. Ciao

Rosario Pellecchia

***

Anch’io, come te Rosario, rimasi colpita da Milano appena scesa dal treno. Venivo, forse come te, da una città di provincia che mi stava stretta, con le montagne che incombevano e, la gente che incontravi mi era estranea, mi sentivo avvolta da una ventata di freddo. Cominciai a sognare Milano che nel mio immaginario di diciottenne ingenua, vedevo come New York. La città mi prese nel suo vortice, fu un amore viscerale che mi avvolse subito come la coperta di cui scrive mio figlio

 “Gli amici sono coperte. Coperte termiche d'inverno e fresche lenzuola d'estate. Senza amici sei nudo. E chi ti vuole bene comincia a coprirti. Ti copre per tutta la vita.” - Andrea G. Pinketts

Subito conobbi il valore, la generosità, il calore dei milanesi, che fa sentire subito fratelli, accolti con simpatia, con calore. Paragonata alla città del nord dove ero vissuta, Milano fu per me l’isola felice. Tanta gente, felicemente attiva.

Era il 1948, la Seconda Guerra Mondiale aveva lasciato macerie e desolazione ma la gente correva, costruiva, creava, fantasticava. Io, come te, non ebbi una vita notturna, sregolata, con l’adrenalina che saliva a mille. Ero una donna e allora era un limite. Non si usava, non era permesso. Successivamente per me tutto cambiò.

Conobbi il mitico Arnoldo Mondadori, poi Angelo Rizzoli. Ambedue non se la tiravano. Rizzoli parlava spesso della sua infanzia dai Martinitt e dell’impero che aveva creato.

Conobbi e fu una folgorazione, la mitica Wanda Osiris che risollevò il teatro di rivista e il varietà italiano, con le magie dei suoi spettacoli, con i suoi abiti vissuti di veli coloratissimi, con le rose, con le scale dalle quali scendeva affiancata dai suoi boys. Cantava, con la sua voce particolare Rose, profumate rose. Al momento della passerella lanciava fra tutto il pubblico rose rosse profumate e intrise di Arpège.

Poi la mia vita cambiò.

Conobbi mio marito, divenni la sua regina e Andrea il piccolo principe. Piccolo ma grande e immenso. Fui moglie e madre e un dono più bello e importante non avrei nemmeno saputo o potuto immaginare. Andrea fu interprete gioioso, qualche volta anche drammatico, nella letteratura con grandi successi. I libri furono i protagonisti della nostra vita.

Milano è anche una città romantica. Molti amori sono nati lungo i Navigli e altrove, forse anche i tuoi, forse anche i miei. Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano. E tu una sera, forse una notte, incontrasti mio figlio Andrea, milanese DOC. Delle persone che nomini mi è caro Marco Baldini, amico di Andrea che mi è rimasto nel cuore per l’amarezza della sua vita.

Le balene mangiano da sole. Sarà la mia prossima lettura. Sto terminando Bukowski, Shakespeare non l’hai mai fatto. L’ho letto e riletto. E’ mia abitudine rileggere nel tempo più volte i libri che mi hanno colpita. Leggo, rileggo, rileggo, a distanza di anni, i libri che hanno fatto breccia nel mio cuore, per meglio riascoltare, capire, ricordare, ammaliata dalle parole.

Tu, artista, fai anche piangere e questo mi attira. Sai, la mancanza di mio figlio è un dolore inesauribile che ha un urgente bisogno anche di ridere o almeno di sorridere. So che è molto più difficile far ridere che far piangere in letteratura e a teatro. E tu dai al pubblico la prova di questo comprovato assioma.

Jenny e il bambino Luca entrano nel mio immaginario e anch’io non vorrei mai lasciarli andare.

Grazie, io lo leggerò, Le balene mangiano da sole e, se vuoi, ne parleremo insieme.

Festival Premio Torre Crawford - 10/12 settembre 2021 - San Nicola Arcella (CS)

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Dopo i suoi storici interventi a Lezioni di Indisciplina, in collaborazione con l’Università della Calabria, nel weekend dal 10 al 12 settembre 2021 Andrea G. Pinketts torna in provincia di Cosenza – per la precisione nella suggestiva località turistica di San Nicola Arcella – per un nuovo evento culturale: il Festival Premio Torre Crawford.

Come molte delle imprese a cui Pinketts si è dedicato fin dai tempi della Scuola dei Duri, il Premio è un’iniziativa culturale indipendente che ha tra i suoi obiettivi quello di scoprire e riscoprire autori mainstream e di narrativa di genere, attraverso una serie di antologie e un concorso letterario. Il punto di partenza è lo scrittore americano, italiano di nascita, Francis Marion Crawford (1854-1909) che scelse come residenza estiva a San Nicola Arcella un’antica torre spagnola che da allora porta il suo nome. Qui scrisse molte sue opere e ambientò uno dei suoi racconti più celebri.

Nato nel 2020 come concorso letterario, il Premio Torre Crawford pubblica presso Oakmond Publishing un’antologia annuale a tema, contenente un’opera dello scrittore americano, un racconto di un ospite italiano illustre (quest’anno la scrittrice Alda Teodorani, ospite al Festival) e quelli selezionati tra i partecipanti.

Nell’edizione 2021, in accordo con l’Associazione Culturale Andrea G. Pinketts, è stato deciso di assegnare a uno dei racconti – se aderente alle caratteristiche di ironia surreale tipica di parte dell’opera dell’autore milanese – un nuovo riconoscimento speciale denominato E io lo dico a Pinketts!, dal titolo del suo primo racconto premiato. Il vincitore sarà annunciato la sera di sabato 11 settembre nel corso della serata di premiazione del Festival e di presentazione della nuova antologia Innamorarsi di un fantasma, nella quale è incluso.

La partecipazione di Andrea G. Pinketts non si limita a questo: subito dopo l’inaugurazione, venerdì 10 settembre alle 18.00, avrà luogo la presentazione del suo romanzo Il vizio dell’agnello, con la partecipazione di Andrea Carlo Cappi (direttore artistico della manifestazione) e del regista Aldo Lado, ospite del Festival, che già presentò lo scrittore milanese nel 2017.

L’iniziativa, quest’anno alla sua seconda edizione sia come concorso sia come festival, coincide con l’attività di Pinketts per la promozione di autori già noti, emergenti o esordienti, non sempre sotto i riflettori, come avveniva tradizionalmente nelle serate del Seminario per Giallo e Bar da lui ideate e condotte a Milano per venticinque anni. La manifestazione si concluderà domenica 12 alle 18.00 con un tributo allo scrittore Stefano Di Marino, suo amico, scomparso lo scorso 6 agosto. L’organizzazione del Premio ha concordato pacchetti turistici con strutture locali per consentire ai visitatori di trascorrere l’intero weekend a San Nicola Arcella a prezzi convenzionati.

www.premiotorrecrawford.it


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L’anima urge, oggi. Fosse stata un uccellino, l’avrei sentita palpitare fra le mani. Il suo bisogno di andare via mi impone l’ordine di ubbidire. Le mani dell’anima sono eteree ma hanno la forza che l’essere umano non conosce, ti portano dovunque. Così, io la seguo, vado incontro a un borgo arcaico a strapiombo sul mare. 

Qui l’acqua ha un colore indescrivibile all’occhio umano, limpido, abbracciato a degli scogli, a delle grotte, che nascondono chissà quali misteri. C’è una leggenda che narra come il mitico eroe Enea dopo la caduta di Troia si inebriò degli effluvi delle erbe mediterranee e ne rimase stordito. Il borgo con il suo patrono San Nicola da Tolentino, mi aspetta, conscio della magia, e mi avvolge portandomi in su, dove un piccolo paese è abbracciato alla sua chiesa risalente al diciassettesimo secolo. 

La festa del patrono si festeggia il 9 e il 10 settembre, date nelle quali il festival ha istituito il premio Torre Crawford, creato per onorare gli scrittori del tempo passato, del tempo presente e del futuro. 

Quest’anno, sono inorgoglita e commossa nel dirlo: il riconoscimento ‘E io lo dico a Pinketts’ onora Andrea Pinketts, mio figlio, prendendo il nome di un suo racconto già premiato nel 1984 dal prestigioso Mystfest di Cattolica. Lo sa il suo pubblico che è presente, lo sa l’amico fraterno Andrea Carlo Cappi che ha vissuto con lui i suoi successi e ne serba l’amore, il rimpianto, tutto il vissuto.   

Oltre a questa presenza di cui sento l’attenzione attenta e consapevole del ruolo, Andrea Carlo Cappi, direttore artistico della manifestazione, e scrittore, ci sarà anche la presentazione del romanzo di Andrea ‘Il vizio dell’agnello’ con la presenza del regista Aldo Lado. Regista eclettico, caro ad Andrea. I tre sono grandi amici uniti da un’intelligenza scoppiettante, come i fuochi d’artificio in una notte complice. 

Il ‘Notturno di Chopin’ di Lado, creò fra gli scrittori un enorme legame che ancora oggi è sempre vivo nonostante la distanza terrena. Il film è infittito da ricordi da brivido. Andrea, come sempre, aveva capito questo capolavoro di Lado e fu ammirato e complice della grandezza di questo regista.

Andrea Carlo Cappi, Aldo Lado, presentano questo festival con tripudio letterario e amore. Grazie. Da una mamma che ricorda. 

In questo abbraccio è presente immaterialmente ma profondamente, nostro e nel rimpianto, lo scrittore Stefano di Marino che ci ha lasciato un attonito doloroso stupore. Ciao Stefano Di Marino, ciao mio Andrea, ciao Alan D. Altieri, ciao Tecla Dozio, ciao Lia Volpatti, ciao a tutti gli scrittori che ci hanno preceduto. I libri, proprio come una scala, ti fanno salire un gradino di più, nutrono i nostri sentimenti, allargano i confini del sapere, del conoscere. 

La piazzetta della Gloria, a San Nicola Arcella, è vicino alla chiesa e ha una tradizione dove nella stagione estiva vige  la “Little Free Library”, la libreria che è un invito a donarsi o, ancora più generoso, a regalare un libro. A questo festival, l’associazione Andrea G. Pinketts di cui mi onoro essere la Presidente, riconoscerà un premio speciale fra gli autori presenti che concorreranno con i loro racconti. Al migliore di loro, un abbraccio, esteso a tutti i partecipanti, all’organizzazione.  

La mia anima esige il ritorno alla realtà, nasce un incanto di questo mondo antico. Nel mare sottostante sono presenti le sirene che si esibiscono in volteggi voluttuosi e cantano i canti incantatori. Attirano l’attenzione di Andrea Pinketts, noto estimatore dell’universo femminile, anche se così leggero, così immateriale, come i sogni, come la gloria, spesso effimera, ma che qualche volta riesce ad essere un messaggio eterno. 
Milano, 7 settembre 2021

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PINKETTS & CRAWFORD 2021 

Sabato 11 settembre, nel corso della cerimonia di consegna del Premio Torre Crawford a San Nicola Arcella, è stata svelata la classifica dei vincitori dell’omonimo concorso letterario di quest’anno. Gli organizzatori, in collaborazione con l’Associazione Culturale Andrea G. Pinketts, avevano deciso di assegnare anche un Premio Speciale in ricordo del nostro scrittore, chiamato «E io lo dico a Pinketts!» riprendendo parte del titolo del suo primo racconto premiato. L’Associazione avrà la facoltà di assegnare nuovamente in futuro tale riconoscimento, qualora al concorso venga identificato tra i partecipanti al Premio Torre Crawford un racconto che si avvicini alle caratteristiche di umorismo surreale tipiche del nostro autore.
Quest’anno è stato conferito allo stesso autore che ha ricevuto più voti dalla giuria del Premio ed è quindi risultato anche primo nella classifica dei vincitori: Claudio Bovino, con il suo «Rebecca, la terza moglie», che nel corso della serata, condotta da Andrea Carlo Cappi, ha ricevuto l’attestato da Rossella Marino, intervistatrice e biografa di Pinketts.
Claudio Bovino, avvocato, insegnante e saggista, è già noto come autore di racconti e romanzi brevi; è pre-giurato al MystFest di Cattolica e collabora attivamente con l’Amys, associazione che riunisce i cultori di Martin Mystère, il celebre personaggio dei fumetti di Alfredo Castelli. In passato è stato un assiduo frequentatore delle serate milanesi di Andrea G. Pinketts.
Il suo racconto «L’occasione», selezionato per il Premio Torre Crawford 2020, è apparso nella corrispondente antologia, «Perché il sangue è la vita» (Oakmond Publishing). Nel 2021 fa il bis con «Rebecca, la terza moglie», presente nella nuova antologia «Innamorarsi di un fantasma» pubblicata dallo stesso editore. Complimenti a Claudio Bovino per la sua duplice vittoria.

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Era l’estate del 2012, il mio primo incontro con Andrea.

Andrea è stato, è un vero Genio e come tale lui e la sua arte sono immortali.

L’ho ammirato, seguito ed ho letto con piacere le sue opere. Mia mamma è sempre stata una sua fan scatenata, adorava Andrea perché era l’unico artista che le trasmetteva, nel panorama culturale e artistico degli ultimi trent’anni, genialità e soprattutto percepiva il suo animo buono.

Per tutto ciò sarò per sempre grata a Michele Arpaia suo road manager, che me lo fece conoscere.

Desidero raccontare il mio primo incontro con Andrea. Era l’estate del 2012.

Andrea doveva presentare un artista che esponeva dei quadri realizzati con il sale in una galleria d’arte nel budello di Alassio. Mi apparve un bell’uomo elegante che ostentava uno stile eccentrico ma di classe, inoltre mi colpì subito la sua timidezza ed il suo garbo.

Si era fatta l’ora della presentazione, entrammo tutti nella galleria d’arte, molte persone erano accorse. Andrea con la sua voce forte e squillante cominciò a parlare e disse: “signore e signori ci ritroviamo tutti qui alle 21.00!!!”, tra le risate e lo stupore se ne uscì dalla galleria e noi al seguito. Le nostre risate echeggiavano nel budello mentre andavamo tutti insieme a mangiare. Finita la cena rifacemmo lo stesso budello ma questa volta Andrea urlava: “veniteeeee, veniteeeeeee, venite alla galleria veniteeeee”. Con il suo carisma e con quella voce profonda ma sonora non potevi non notarlo ed accogliere il suo invito. Io ero rapita e affascinata da quell’uomo. Entrammo in galleria, il pubblico piano piano arrivava mentre noi, nel frattempo, osservavamo i quadri di sale. Andrea cominciò a descrivere le opere dell’artista e lì rimasi colpita ancora una volta dalla sua enorme cultura e sensibilità, non si risparmiava con il suo senso della frase, la sua ironia; dopo poco come un vero e navigato attore di commedia dell’arte, per fare capire che le opere erano veramente di sale, si avvicinò ad un quadro e gridando disse: “vedete è saleeeeeee!!!” e diede una “potente leccata” alla tela come se stesse gustando una prelibatezza. Una grande risata accompagnata da un grande applauso ha fatto da cornice a questo momento. Questo ricordo indelebile è impresso nel mio cuore.

Andrea è questo, si dà alle persone, sa essere generoso. A proposito di sale Andrea è come il mare, immenso e salato, dà sapore ad ogni cosa.

Potrei raccontare tanti altri aneddoti, incontri con Andrea da raccontare, ma quello che conservo dentro di me, è la consapevolezza di aver conosciuto un uomo geniale con grande cuore; il suo cuore si rifletteva nei suoi occhi teneri. Persone così sono rare, rarissime, ed io mi sento una privilegiata.

In quegli occhi ho “visto” e percepito il grande amore per la sua mamma, la sua regina. Questa cosa mi univa ad Andrea.

Artisti di questa caratura, lasciano il segno, sono immortali.

Andrea c’è.

Grazie alla sua mamma ed all’Associazione che porta il suo nome, l’associazione Andrea G. Pinketts.

Invito tutti ad approfondire la conoscenza di questo grande artista, il genio Andrea G. Pinketts, perché conoscerlo vuol dire ricchezza interiore per ognuno di noi.

(Lorena Silvia Sambruna - Milano 3 Giugno 2021)

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Questo tuo ricordo di Andrea, del primo incontro, e dei successivi che appagavano oltre all’ammirazione per il personaggio eclettico che cantava con le sue parole come un giocoliere magico con la sua smisurata cultura che ci lasciava tutti consapevoli dei nostri limiti. Andrea sciorinava il suo sapere che ci faceva capire quanto gli fosse costato nel suo percorso assorbire la sua capacità di intrattenerci, di eccitare la nostra curiosità, di uscire dalle sue serate con l’anima ricca fino allo spasimo. Di più non si poteva. Grazie di avere capito l’intimità intellettuale che esisteva ed esiste ancora oggi tra me e mio figlio. E’ vero che ero la sua regina. Anche per suo padre che mancò troppo presto, ero la sua regina. Nel cuore di Andrea è rimasto l’eco di questo amore e di questa parola che io ho trasmesso a mio figlio. Grazie Lorena di averlo captato.

Un colpo di fulmine - Molveno, Natale 1972

Avevo 27 anni e Andrea 12.

Un colpo di fulmine perché mi sembrava di parlare con un ragazzo che mi assomigliava quando avevo la sua età.

Sarà stato perché avevo la Luna e Plutone nel Leone che scorrazzavano nel mio tema astrologico che simpatizzammo immediatamente.

Una persona adulta in grado di comunicare un quadro preciso della società in cui vivevamo. Solo chi è in grado di rivolgersi in modo educato e calibrato verso un obiettivo preciso riceverà una risposta al proprio approccio più o meno positiva.

L'umorismo, da humus, è il terreno di base nel quale si seminano le verità per coloro che intendono crescere.

Andrea è riuscito alla grande ed è per questo che ho scritto a mamma Mirella “La morte non mi fermerà”. Con Lazzaro aveva scoperto la risurrezione ovvero la frequenza dell'energia dell'anima che si rimaterializza.

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Gabriele Garzoli, oltre a essere illuminato astrologo, è poeta, chitarrista, cantautore di canzoni in puro vernacolo milanese e scrittore di libri nati dalla sua curiosità per la vita e i sentimenti che nascono dagli incontri come il suo per te Andrea, come il tuo per Gabriele.

L’uomo andava incontro alle montagne inaccessibili nella loro consapevolezza e magnificenza, il cielo era tagliente come la sciabola di un Sandokan di antica memoria.

Era il 25 dicembre 1972. La neve aveva lasciato un tappeto accecante nel suo biancore, il cielo giocava sui rami degli alberi costruendo figure che avevano sembianze di un mondo fatato. Ancora lontana, baluginava l’insegna di un albergo. L’uomo, ebbe il timore che fosse un miraggio, andava incontro alle montagne e trovò il rifugio ‘Albergo Antico’. Lo accolse un ambiente denso di fumo, di voci assordanti magari un po’ alterate dalle troppe grappe o simili. Lo attirò un tavolo sul quale sedeva un ragazzo che in mezzo a quel frastuono leggeva indisturbato, concentrato. Fu così l’incontro che diede subito vita ad uno scambio scintillante dove la cultura reciproca dava spazio a mille argomenti. L’uomo si era ritrovato fanciullo, entusiasta, fiducioso. Il ragazzo aveva assimilato il sapere dell’uomo.

Anche l’umorismo era presente, l’ironia, la possibilità di dare alla vita una parvenza di gioia. Questa simbiosi durò nel tempo anche se interrotta qualche volta dal silenzio. Quest’amicizia è viva ancora adesso, animata dall’energia dell’anima immortale.

Molveno, un piccolo lago, un piccolo paese. Io e te, Andrea, giovanissimo, passeggiammo insieme sulla riva di quel lago. Tu mi tenevi per mano proteggendomi dai sassi che ostacolavano il nostro cammino. Fu un momento perfetto. Andrea rispettava i miei silenzi mentali. I remember, il suo magico suono. Molveno ti piacque, era un piccolo lago, carezzevole e limpido. Io, solitaria ieri e solitaria oggi, ammirai incantata la magia dei laghi e ricordai un romanzo di Fogazzaro, Malombra. La protagonista di questo romanzo (nell’adattamento cinematografico del 1942), l’attrice Isa Miranda, rispondeva a quella malinconia dell’Essere che danno i piccoli laghi.

Ti ho trasfuso, Andrea, l’amore per la letteratura e l’incanto che possono donare i libri, le emozioni e le immagini dei protagonisti, eterne. Lazzaro, vieni fuori, il primo di tutti i libri che hai scritto e che vivono oggi come ieri, come domani, come sempre.

All’indomani ci lasciammo alle spalle le montagne incombenti, decisamente la città era il nostro habitat. Cantammo, osannando Gaber, Com’è bella la città, com’è grande la città, com’è viva la città, com’è allegra la città, e Giorgio ci tenne compagnia per molti anni. Tu ridevi del mio canto. Ho smesso di cantare. Ora, non più.

Era Natale. Io, ero infastidita dal rumore di pacchi, di carta che avvolgeva i regali, conscia dell’inutilità di quel Natale dove a Gesù non pensava nessuno. Era la festa del consumismo e le parole erano vuote. In tutti i natali della mia vita, ho sentito accanto a me la fragilità e la grandezza di quel bambino nato in una stalla con il solo calore di Maria, di Giuseppe, del bue e dell’asinello.

Ho ricordato che un Natale io ero volontaria della Croce Rossa e fui invitata a cantare durante la messa di Natale, l’Ave Maria di Schubert. La cantai con emozione e quella musica mi avvolse in un religioso abbraccio.

Il Natale a Molveno per gli ospiti era stato un abuso della rabbiosa, com’era chiamata nell’ottocento, la grappa. Lo ricorda e ce lo insegna l’autrice Albertina Fancetti nel suo libro La banda della Scopola: il commissario Dondina ne fa abbondante uso, questo nettare a volume quaranta lo aiuta a risolvere delitti e misteri. Caso mai nella mia vita dovessi incappare nel mondo dalle mille sfaccettature dei magistrati, alcuni consapevoli dell’importanza del loro ruolo, altri un po’ distratti, un tantinello disattenti o permeati di indifferenza umana e legale, offrirò loro quale cadeaux natalizio, una magnum di Rabbiosa. Chissà che non chiariscano le loro idee e riescano a risolvere i casi come il loro magnifico predecessore Dondina.