La mia Milano notturna di metà anni Novanta aveva anche la sua faccia

Quando arrivai a Milano ne fui letteralmente folgorato, da subito. Amore a prima vista. Andavo in onda di notte, mi svegliavo alle due del pomeriggio. Vivevo di aperitivi, mangiavo agli orari più disparati, senza regole. Conoscevo un sacco di persone bizzarre e meravigliose , con cui spesso rimanevo a parlare fino alle sei del mattino, fumando mille sigarette. C’erano volte che entravo in un locale sordido vicino alla radio alle tre del mattino, appena finita la diretta, con l’adrenalina a mille. Sembrava un posto schizzato fuori da un romanzo di Bukowski. Ordinavo da mangiare, come fossero le otto di sera. Insomma, ero molto giovane e travolto dagli eventi, tutto mi sembrava così nuovo e strano e incredibilmente stimolante. In questo sottobosco scalcagnato e un po’ maledetto mi capitava di imbattermi in un personaggio che era impossibile non notare. Indossava spesso un cappello, fumava il sigaro e aveva sempre tra le mani un bicchiere. Una sera stava litigando con la sua donna, che era una mia amica. Io ebbi la sfortuna di trovarmi proprio in mezzo, e così mi beccai un pugno sulla spalla. Mi dissero che quel tipo era uno scrittore piuttosto bravo, cercai i suoi libri e cazzo se lo era. La mia Milano notturna di metà anni Novanta aveva anche la sua faccia, e sapere che adesso non c’è più mi fa un certo effetto. Ciao

Rosario Pellecchia

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Anch’io, come te Rosario, rimasi colpita da Milano appena scesa dal treno. Venivo, forse come te, da una città di provincia che mi stava stretta, con le montagne che incombevano e, la gente che incontravi mi era estranea, mi sentivo avvolta da una ventata di freddo. Cominciai a sognare Milano che nel mio immaginario di diciottenne ingenua, vedevo come New York. La città mi prese nel suo vortice, fu un amore viscerale che mi avvolse subito come la coperta di cui scrive mio figlio

 “Gli amici sono coperte. Coperte termiche d'inverno e fresche lenzuola d'estate. Senza amici sei nudo. E chi ti vuole bene comincia a coprirti. Ti copre per tutta la vita.” - Andrea G. Pinketts

Subito conobbi il valore, la generosità, il calore dei milanesi, che fa sentire subito fratelli, accolti con simpatia, con calore. Paragonata alla città del nord dove ero vissuta, Milano fu per me l’isola felice. Tanta gente, felicemente attiva.

Era il 1948, la Seconda Guerra Mondiale aveva lasciato macerie e desolazione ma la gente correva, costruiva, creava, fantasticava. Io, come te, non ebbi una vita notturna, sregolata, con l’adrenalina che saliva a mille. Ero una donna e allora era un limite. Non si usava, non era permesso. Successivamente per me tutto cambiò.

Conobbi il mitico Arnoldo Mondadori, poi Angelo Rizzoli. Ambedue non se la tiravano. Rizzoli parlava spesso della sua infanzia dai Martinitt e dell’impero che aveva creato.

Conobbi e fu una folgorazione, la mitica Wanda Osiris che risollevò il teatro di rivista e il varietà italiano, con le magie dei suoi spettacoli, con i suoi abiti vissuti di veli coloratissimi, con le rose, con le scale dalle quali scendeva affiancata dai suoi boys. Cantava, con la sua voce particolare Rose, profumate rose. Al momento della passerella lanciava fra tutto il pubblico rose rosse profumate e intrise di Arpège.

Poi la mia vita cambiò.

Conobbi mio marito, divenni la sua regina e Andrea il piccolo principe. Piccolo ma grande e immenso. Fui moglie e madre e un dono più bello e importante non avrei nemmeno saputo o potuto immaginare. Andrea fu interprete gioioso, qualche volta anche drammatico, nella letteratura con grandi successi. I libri furono i protagonisti della nostra vita.

Milano è anche una città romantica. Molti amori sono nati lungo i Navigli e altrove, forse anche i tuoi, forse anche i miei. Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano. E tu una sera, forse una notte, incontrasti mio figlio Andrea, milanese DOC. Delle persone che nomini mi è caro Marco Baldini, amico di Andrea che mi è rimasto nel cuore per l’amarezza della sua vita.

Le balene mangiano da sole. Sarà la mia prossima lettura. Sto terminando Bukowski, Shakespeare non l’hai mai fatto. L’ho letto e riletto. E’ mia abitudine rileggere nel tempo più volte i libri che mi hanno colpita. Leggo, rileggo, rileggo, a distanza di anni, i libri che hanno fatto breccia nel mio cuore, per meglio riascoltare, capire, ricordare, ammaliata dalle parole.

Tu, artista, fai anche piangere e questo mi attira. Sai, la mancanza di mio figlio è un dolore inesauribile che ha un urgente bisogno anche di ridere o almeno di sorridere. So che è molto più difficile far ridere che far piangere in letteratura e a teatro. E tu dai al pubblico la prova di questo comprovato assioma.

Jenny e il bambino Luca entrano nel mio immaginario e anch’io non vorrei mai lasciarli andare.

Grazie, io lo leggerò, Le balene mangiano da sole e, se vuoi, ne parleremo insieme.