Un colpo di fulmine - Molveno, Natale 1972

Avevo 27 anni e Andrea 12.

Un colpo di fulmine perché mi sembrava di parlare con un ragazzo che mi assomigliava quando avevo la sua età.

Sarà stato perché avevo la Luna e Plutone nel Leone che scorrazzavano nel mio tema astrologico che simpatizzammo immediatamente.

Una persona adulta in grado di comunicare un quadro preciso della società in cui vivevamo. Solo chi è in grado di rivolgersi in modo educato e calibrato verso un obiettivo preciso riceverà una risposta al proprio approccio più o meno positiva.

L'umorismo, da humus, è il terreno di base nel quale si seminano le verità per coloro che intendono crescere.

Andrea è riuscito alla grande ed è per questo che ho scritto a mamma Mirella “La morte non mi fermerà”. Con Lazzaro aveva scoperto la risurrezione ovvero la frequenza dell'energia dell'anima che si rimaterializza.

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Gabriele Garzoli, oltre a essere illuminato astrologo, è poeta, chitarrista, cantautore di canzoni in puro vernacolo milanese e scrittore di libri nati dalla sua curiosità per la vita e i sentimenti che nascono dagli incontri come il suo per te Andrea, come il tuo per Gabriele.

L’uomo andava incontro alle montagne inaccessibili nella loro consapevolezza e magnificenza, il cielo era tagliente come la sciabola di un Sandokan di antica memoria.

Era il 25 dicembre 1972. La neve aveva lasciato un tappeto accecante nel suo biancore, il cielo giocava sui rami degli alberi costruendo figure che avevano sembianze di un mondo fatato. Ancora lontana, baluginava l’insegna di un albergo. L’uomo, ebbe il timore che fosse un miraggio, andava incontro alle montagne e trovò il rifugio ‘Albergo Antico’. Lo accolse un ambiente denso di fumo, di voci assordanti magari un po’ alterate dalle troppe grappe o simili. Lo attirò un tavolo sul quale sedeva un ragazzo che in mezzo a quel frastuono leggeva indisturbato, concentrato. Fu così l’incontro che diede subito vita ad uno scambio scintillante dove la cultura reciproca dava spazio a mille argomenti. L’uomo si era ritrovato fanciullo, entusiasta, fiducioso. Il ragazzo aveva assimilato il sapere dell’uomo.

Anche l’umorismo era presente, l’ironia, la possibilità di dare alla vita una parvenza di gioia. Questa simbiosi durò nel tempo anche se interrotta qualche volta dal silenzio. Quest’amicizia è viva ancora adesso, animata dall’energia dell’anima immortale.

Molveno, un piccolo lago, un piccolo paese. Io e te, Andrea, giovanissimo, passeggiammo insieme sulla riva di quel lago. Tu mi tenevi per mano proteggendomi dai sassi che ostacolavano il nostro cammino. Fu un momento perfetto. Andrea rispettava i miei silenzi mentali. I remember, il suo magico suono. Molveno ti piacque, era un piccolo lago, carezzevole e limpido. Io, solitaria ieri e solitaria oggi, ammirai incantata la magia dei laghi e ricordai un romanzo di Fogazzaro, Malombra. La protagonista di questo romanzo (nell’adattamento cinematografico del 1942), l’attrice Isa Miranda, rispondeva a quella malinconia dell’Essere che danno i piccoli laghi.

Ti ho trasfuso, Andrea, l’amore per la letteratura e l’incanto che possono donare i libri, le emozioni e le immagini dei protagonisti, eterne. Lazzaro, vieni fuori, il primo di tutti i libri che hai scritto e che vivono oggi come ieri, come domani, come sempre.

All’indomani ci lasciammo alle spalle le montagne incombenti, decisamente la città era il nostro habitat. Cantammo, osannando Gaber, Com’è bella la città, com’è grande la città, com’è viva la città, com’è allegra la città, e Giorgio ci tenne compagnia per molti anni. Tu ridevi del mio canto. Ho smesso di cantare. Ora, non più.

Era Natale. Io, ero infastidita dal rumore di pacchi, di carta che avvolgeva i regali, conscia dell’inutilità di quel Natale dove a Gesù non pensava nessuno. Era la festa del consumismo e le parole erano vuote. In tutti i natali della mia vita, ho sentito accanto a me la fragilità e la grandezza di quel bambino nato in una stalla con il solo calore di Maria, di Giuseppe, del bue e dell’asinello.

Ho ricordato che un Natale io ero volontaria della Croce Rossa e fui invitata a cantare durante la messa di Natale, l’Ave Maria di Schubert. La cantai con emozione e quella musica mi avvolse in un religioso abbraccio.

Il Natale a Molveno per gli ospiti era stato un abuso della rabbiosa, com’era chiamata nell’ottocento, la grappa. Lo ricorda e ce lo insegna l’autrice Albertina Fancetti nel suo libro La banda della Scopola: il commissario Dondina ne fa abbondante uso, questo nettare a volume quaranta lo aiuta a risolvere delitti e misteri. Caso mai nella mia vita dovessi incappare nel mondo dalle mille sfaccettature dei magistrati, alcuni consapevoli dell’importanza del loro ruolo, altri un po’ distratti, un tantinello disattenti o permeati di indifferenza umana e legale, offrirò loro quale cadeaux natalizio, una magnum di Rabbiosa. Chissà che non chiariscano le loro idee e riescano a risolvere i casi come il loro magnifico predecessore Dondina.