24 dicembre, l’incanto dell’alito generoso di un bue e di un asinello

E’ una serata di dicembre, rumorosa. Mi ritrovo in una strada bardata a festa con le luminarie che creano immagini luminescenti e alterano la visione. Sono forse in un lunapark? Invero non era mia intenzione questo percorso, estraneo al mio modo di essere, di vivere, di essere parte umana e partecipe di questa umanità affannata, carica di pacchi, chi piccoli chi grossi, a seconda delle capienze dei borsellini e del desiderio di donare.

Ma cos’è donare? E’ così che si esprime un dono? L’inutilità di questo scambio reciproco non mi allieta. Le carte cangianti che dividono i pacchi blu, rossi, verdi, gialli, diventano a poco a poco grigie, si spengono. Il dono è qualcosa di intimo, fatto pensando alla persona alla quale è rivolta. Purtroppo è spesso riciclabile, rivolto ad un’altra persona, ad un altro habitat. Non c’è la magia, i pacchi sono inutili come spenti, il cuore tace.

Poche persone riescono a captare l’aria diversa che sopravvive, che preannuncia un avvenimento che invita a sorridere, a sentire sulle mani e sul viso ghiacciato, l’incanto dell’alito generoso di un bue e di un asinello. C’è un vocio assordante, risate sguaiate scaturite da borsellini che si sono stupidamente svuotati con aperitivi a catena. Si rinnovano continuamente gli auguri. Auguri, di che?

Il pensiero è un grande potere. Può essere proiettato nel futuro umano. Non è consigliabile perché carico di sorprese e si sa, le sorprese non sono sempre piacevoli. Sono come un’altalena bugiarda, salgono e scendono. E spesso perdono il ritmo. Il pensiero riflette, crea, distrugge, ritorna a creare il poi, il domani, riapre la bocca al sorriso. E’ forse questo il significato della parola amore?

Questo pensiero che nel mio caso è vagabondo, fa allora un salto all’indietro. Mi porta in una piccola città del Trentino, solitaria, così stretta fra le montagne, le voci ne sono sommesse, l’atmosfera è rarefatta. Si attende, riverenti, l’annunciazione che il momento è vicino. Gli zampognari suonano le loro melodie. C’è una piccola grotta in una culla disadorna ma regale nella sua essenzialità. Giace un bambino che sarà il Re dell’universo. Lo guarda amorevolmente la mamma, lo contempla, lo ammira, se ne imbeve. San Giuseppe, generoso, sorride alla sua Sacra Famiglia. I pastorelli e gli agnellini sembrano danzare la passeggiata dell’innocenza.

E’ uno spazio che non ha confini, il verbo arriverà e si allarga l’infinito e allora il natale povero e modesto della nostra infanzia, con i religiosi misteri religiosi mi riempie il cuore.

Dalle bancarelline emana il profumo delle caldarroste fumanti, delle bagigie (arachidi)in fazzoletti di cotone freschi e puri, le fibre artificiali allora non c’erano.

Mi infilo una collana di castagne bollente e mi sento una regina perché ho nel cuore questa attesa. Chi ci crede e non tutti ci credono, vorrebbe credere, da tanto conforto, da tanta speranza. Ognuno di noi cerca, qualche volta trova, qualche volta no. E lì rimane l’amarezza.

Il mio balcone che nel passato si uniformava alle usanze comuni, come tu volevi, figlio del re sole, io figlia della pallida luna. Due Sentimenti contrapposti, ma io mi adeguavo come sempre al tuo volere. Ma da tre anni questo balcone è spento e avvolto nel buio della notte. Tu, figlio, fanciullo, bambino, ti dissolvi nella luce divina.