Ero molto giovane, allora.
Il Teatro Sociale mise in cartellone l’opera di Giuseppe Verdi “Rigoletto”.
Mio padre mi portò, per la prima volta, a teatro. Ricordo l’abito che indossavo di moiré rosa nel quale mi sentivo una principessa. L’importante è sentirsi, non esserlo.
Ero attenta ad ogni sfumatura del dramma che si svolgeva sul palcoscenico. Storie d’altri tempi. Rigoletto, gobbo buffone di corte, ha una figlia, espressione d’ingenuità e di purezza. Viene sedotta dal Duca di Mantova, e i cortigiani che si volevano vendicare dei lazzi malevoli che Rigoletto rivolgeva a loro (ma non era malanimo era il suo mestiere) ordiscono una trama diabolica ai suoi danni.
Rigoletto voleva vendicarsi del frivolo duca e incaricò un sicario perché gli fosse tolta la vita. Gilda, amando ancora il duca si sostituisce per morire al suo posto. Nel sacco che doveva contenere il cadavere del duca, c’è invece Gilda. Rigoletto apre il sacco e trova il corpo della figlia priva di vita. Si strappa un urlo di disperazione, di vendetta, tremenda vendetta: “Cortigiani, vil razza dannata”.
Io penso che il desiderio di vendetta, è un sentimento umano, come il desiderio carnale che può essere confuso con la parola amore, come la gioia, come la malinconia, come la depressione. Il rancore che fa sfociare in azioni inique, alimenta la violenza che si manifesta col bisogno di sopraffare chi ci ha offeso, umiliato, o ferito, o che ha provocato la fine della vita con il cuore spezzato, sia perché uccide, in preda ad un irruente impulso di violenza, gelosia o invidia, sia perché ha ceduto al male, insito in ognuno di noi.
L’uomo ai tempi nostri è diventato più fragile ed intemperante. La donna che non ti ama più e vuole troncare il rapporto, rapporto che ha perso il fulgore iniziale e la complicità, diventa un’ossessione che porta a tragici epiloghi.
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La terra di Sardegna è generosa. La sua bellezza, aspra e cupa. Così io vedo nell’isola regale, ciò che accadde a Valentina Pitzalis che porta ancora i segni indelebili di un incontro tragico. Li porterà tutta la vita. La tragedia che ha vissuto, protagonista di tanta ferocia. Si sposò con Manuel Piredda ed ebbe con lui un lungo e passionale percorso vissuto in fasi alterne. Passione, turbinose violenze sopportate con amorevole pazienza. Le donne sperano sempre di poter cambiare l’uomo ma è una pura illusione. Vissero anni di presenze e assenze fino ad arrivare alla fine conclusiva, il divorzio. Questo però non spezzò il legame che avevano l’un l’altro. Ebbero altre storie ma il ricordo ossessivo, malato, li portarono a rivedersi. Lui le fissa un appuntamento, vuole rivederla. Lei sa che non uscirà indenne da quell’incontro ma la passione prevale sulla paura. Nell’incontro il suo ex marito le getta addosso una tanica di benzina e le da fuoco. Vuole incendiarla, la vuole morta e consuma la sua vendetta. L’uomo s’incendia a sua volta. Vuole la sua donna bruciata sul rogo, come le streghe dell’Inquisizione ma lei non è una strega, è una fata che riesce a sfuggire al rogo rimanendo però sfigurata portando sul viso l’orribile vendetta dell’uomo. Seguono tre anni nei quali Valentina viene indagata di omicidio volontario. Una tragedia che non finisce. Finalmente nel 2020 viene prosciolta e questa sera è qui con noi. Col tempo riuscirà, forse, ad attenuare tutto questo orrore. Onore a te, fata del coraggio.
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I delitti premeditati sono più orribili di quelli dettati dall’impulso, dall’amore, dalla gelosia, o da rivalità sociali o economiche. C’è una storia d’amore fra un uomo, principe del successo e del potere economico, e una donna, bella, raggiante della posizione ottenuta malgrado le sue origini modeste. Vivono un amore fatto di successi mondani, di case da sogno, di yacht prestigiosi, di macchine lunghissime. Lei aspira ad avere un posto di rilievo nel mondo schizzinoso nel quale non è bene accolta, lei era una parvenue, non era una signora. I suoi sforzi sono inutili. La sua amica più cara è una cartomante napoletana che dispensa consigli e che viene mantenuta. L’amore con il marito si sgretola (accade) fino alla separazione. Il marito ha sentito il bisogno di una vera donna che condivida con lui, una vita di lavoro, di successo, imprese realizzate. Avviene con una donna che miracolosamente incontra. L’amore non accetta questo abbandono merito anche, sospetto, della povertà nella quale è nata. Molto stupidamente sparge la voce di trovare un sicario perché il marito venga ucciso. Ci penserà la maga ad attuare il progetto dietro compenso di cinque milioni di lire. Tutto organizzato, senza ripensamenti. Al mattino mentre l’ex marito si reca in ufficio il sicario provvede ad esaudire la bella e prodiga signora. Classista, fra l’altro, riprende la sua vita fra il lusso e appaga la sua sfrenata ambizione. Il tempo passa e, a un certo punto, presenta il conto. L’attende la prigione, sarà accusata dell’omicidio dell’ex marito. La vendetta è compiuta.
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Andora, luogo caro a mio figlio Andrea, dove l’arte, la cultura, beneficiano dell’aria, non soffrendo del bisogno di estraniarsi dal quotidiano, arricchisce l’anima e i sensi. Dopo tanto orrore, squallore, dolore, devo immergere il mio pensiero in un prato verde dove nascono fiorellini innocenti, multicolori, nel vento, nelle bufere, negli uragani, senza temere le furie del tempo dato che dopo tornerà il sole che ridarà loro vita e allontanerà, magari in modo burrascoso, le piante di cactus che crescono fra loro con le loro spine possono ferie, pungere.
Mi attira allora l’immagine evocativa: il rosso che è l’espressione della violenza, il giallo e il nero che formano un triangolo, e con la potenza dei colori, evoca la follia, rappresenta un pugnale, una spada. C’è anche il bianco che è sorgente di luce, il cappello evoca il padrino di questo art-festival da cui Andrea non andrà mai via. Il suo logo è indistruttibile. Otto anni prima Andrea aveva accettato la sfida postagli dal vulcanico sindaco Mauro Demichelis, creare il festival AG NOIR.
Oggi, l’immagine realizzata dal concept artist Giacomo Guccinelli è un tributo dell’artista all’insostituibile Andrea G. Pinketts. Testimoniare AG NOIR con il viso e l’immagine visibili solo a metà. C’è anche un altro simbolo, l’impermeabile bianco e il cappello che da modo di ricordare il padrino.
Gli artisti dialogano, creano a modo loro. Il linguaggio è comune, l’ intesa è profonda. Grazie di questo omaggio signor Guccinelli, lo terrò caro, testimone del ricordo e della nostalgia di mio figlio. Ma Andrea c’è, onore al sindaco Mauro, alla deliziosa Christine, a tutte le persone che hanno contribuito a rendere questo festival indimenticabile.
(Mirella Marabese Pinketts)